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Era il 1996...

Era il 1996 quando il Dott. Donald McKenzie, specializzato in medicina sportiva e fisiologica, realizzò il primo studio presso il Centro di Medicina Sportiva UBC (Università Britannica della Columbia), decidendo di approfondire e verificare la correttezza della teoria secondo la quale era necessario evitare attività sportive ripetitive che impegnassero la parte superiore del corpo, per prevenire il linfedema,

un doloroso e inabilitante rigonfiamento delle braccia e del torace che si sviluppa spesso dopo un intervento di chirurgia al seno. In passato si riteneva che ogni sforzo o esercizio fisico fosse controindicato. Il Dott. McKenzie non trovò alcun rapporto scientifico a tale pensiero e così reclutò 24 donne sopravvissute al tumore al seno, facendole partecipare ad un progetto sperimentale di allenamento in palestra seguito da allenamento su dragon boat. L’obiettivo era ambizioso: dimostrare che lo sforzo fisico aiutava la riabilitazione a seguito dell’operazione. Decise dunque di allenare le donne dando loro un obiettivo, farle partecipare all’International Dragon Boat Festival del giugno di quell’anno che si svolgeva a Vancouver (Canada). Le 24 donne parteciparono, condussero la gara e nessuna di loro presentò in seguito linfedema.

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Il dragon Boat si adatta molto bene per questa attività in quanto a causa delle sue dimensioni e del suo peso può essere gestito solo grazie ad un perfetto affiatamento del suo equipaggio. Inoltre la sua conduzione è alla portata di tutti e non occorrono particolari doti fisiche e capacità atletiche.

In seguito La ricerca si è soffermata sull’analisi delle reazioni del muscolo scheletrico durante questo tipo di esercizio fisico, dimostrando il rilascio delle miochine, molecole che esercitano i loro effetti sia per via sistemica che locale, modulando la risposta infiammatoria sistemica stimolando la produzione di citochine antinfiammatorie, inibendo la produzione del fattore di necrosi tumorale elimitando i casi di linfedema successivi alla operazione.

Tale reazione attenua significativamente alcuni dei sintomi, riduce la sensazione di fatica nello svolgimento delle attività quotidiane e migliora nel complesso la qualità della vita delle pazienti. I benefici, infatti, non si riscontrano solo al livello fisico ma anche psicologico, grazie al lavoro di squadra e cooperazione tra compagne.

per chi vuole approfondire, è disponibile l'articolo originale di McKenzie

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